Siamo sinceri. Senza la plastica il mondo sarebbe un posto migliore, ma la nostra vita sarebbe un po’ più complicata.
Basti pensare che l’italiano Giulio Natta ha ricevuto il premio Nobel grazie all’invenzione del “moplen”. Quello usato per le vaschette e i contenitori di plastica in cui raccogliamo gli avanzi della cena per intenderci.
Per il trasporto e la conservazione degli alimenti la plastica è stata senz’altro una vera e propria rivoluzione, ma questo materiale non trova il suo impiego unicamente nel reparto ortofrutticolo del supermercato della nostra città e nella nostra cucina.
Guardiamoci intorno nella stanza in cui ci troviamo in questo momento. Quanti oggetti di plastica vediamo?
Parlare di plastica oggi è sempre più importante, soprattutto per quanto riguarda il nostro benessere.
Ricordiamoci però che il nostro benessere dipende in primo luogo dall’ambiente che ci circonda e sta a noi salvaguardarlo.
Noi di Nieddittas amiamo e rispettiamo il mare nel quale lavoriamo 365 giorni l’anno. Proprio per la qualità e l’efficacia della nostra azione di tutela, siamo stati scelti dalla FONDAZIONE MED SEA come esempio di tutela delle zone umide affidateci con la Concessione Regionale di pesca che riguarda la nostra attività.
Mare Nostrum
La plastica è stata sicuramente l’invenzione del secolo. L’uomo ha inventato un materiale che una volta modellato non avrebbe cambiato forma e non solo. Una volta creato avrebbe avuto l’essenziale caratteristica di durare nel tempo.
Un materiale che se ben gestito avrebbe dovuto limitare la produzione di nuovi rifiuti, paradossalmente è diventato la base della catena del consumo usa e getta. Bottiglie, giocattoli, buste, imballaggi, contenitori, bicchieri che una volta usati vengono gettati e spesso nella maniera sbagliata.
Ma dove finiscono tutti questi rifiuti di plastica?
È stato stimato che circa ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare, 53 mila tonnellate solo nel Mar Mediterraneo. Inoltre, data l’elevata quantità di rifiuti che annualmente è prodotta da tutti i paesi del mondo, nel 2050 in mare ci sarà più plastica che pesci.
A differenza degli oceani in cui attraverso le correnti e le maree i rifiuti restano a largo, nel Mar Mediterraneo ritorna circa l’80% dei rifiuti sulle coste, perché è un bacino chiuso.
Dagli esami effettuati è stato notato che i rifiuti sono sparsi nel Mar Mediterraneo in maniera disomogenea.
Si può trovare una quantità maggiore di rifiuti vicino alle coste delle grandi città e alle rotte di navigazione.
Il litorale veneziano, Barcellona e Tel Aviv sono alcune delle città mediterranee più inquinanti. Teniamo in considerazione ad esempio, che a Venezia e nella zona del delta del Po vengono prodotti ogni giorno più di 18 kg di rifiuti in plastica per ogni chilometro di costa.
Gran parte della plastica dispersa in mare deriva da una gestione sbagliata dei rifiuti e la situazione peggiora con l’incremento dei flussi turistici. Alcuni studi hanno dimostrano che se non ci sarà un veloce miglioramento nella gestione dei rifiuti a livello mondiale, la quantità di plastica nei nostri mari sarà incrementata di dieci volte entro il 2025.
Anche le attività di navigazione e pesca sono fonte di inquinamento. Pensiamo alle immagini sempre più frequenti dei pesci impigliati in reti e nasse da pesca. Questo fenomeno è conosciuto come “ghostfishing”, ovvero pesca fantasma.
Un’altra percentuale infine deriva dai fiumi. Questi corsi d’acqua trasportano fino al mare oggetti in plastica di diverse dimensioni che sono state mancate dai sistemi di raccolta locali.
Il grande problema delle microplastiche
Altro tema caldo che riguarda i nostri mari sono le sempre più famose microplastiche.
Parliamo di microplastiche quando abbiamo a che fare con residui di pochi millimetri, che si sono creati direttamente in acqua dalla decomposizione di oggetti in plastica di dimensioni più grandi.
Le microplastiche sono contenuti anche in prodotti industriali come cosmetici, detersivi e pellet, oppure vengono dispersi in maniera fortuita ad esempio dal lavaggio di capi sintetici.
Solo una parte delle microplastiche vengono bloccate dagli impianti di depurazione, che finisce nei fanghi di depurazione che a loro volta sono impiegati nelle coltivazioni come fertilizzanti.
Il resto delle plastiche che non viene depurato arriva nei corsi d’acqua e quindi nei mari.
A questo punto le microplastiche possono essere mangiate delle specie marine e finire nei nostri piatti. È stato appurato infatti che ormai le microplastiche fanno parte della nostra catena alimentare, poiché sono state rintracciate delle loro tracce sia nell’acqua in bottiglia, che nel miele e in altri alimenti.
È stata calcolata negli ultimi anni nel Mar Mediterraneo la presenza di microplastica, che varia dalle 4.800 alle 30.300 tonnellate e che ogni settimana mangiamo involontariamente circa 5 grammi di plastica. Purtroppo non è ancora chiaro quanto questi residui plastici possano essere dannosi tanto per le specie marine, quanto per gli umani.
In fondo al mar
Per avere qualche notizia in più sui fondali del mondo marino dobbiamo affidarci agli studi effettuati dall’australiana Commonwealth Industrial and Scientific Organization (CSIRO).
Questa organizzazione si è servita di particolari robot sottomarini per scandagliare gli incontaminati fondali della Grande Baia Australiana. In seguito è stata fatta una valutazione approssimativa della quantità di rifiuti nei fondali di tutto il mondo.
L’esame è stato effettuato prelevando dei campioni di acqua ad una profondità superiore ai 3000 metri in sei differenti zone. I risultati ottenuti non sono incoraggianti vista la grande quantità di microplastiche rilevata in zone così recondite.
Poco confortanti sono le notizie che vengono anche da un’altra verifica, eseguita questa volta nell’Oceano Atlantico nel 2020 dal britannico National Oceanography Center (NOC).
L’esame si è svolto ad una profondità di circa 200 metri e sono state campionate 12 zone comprese in un’area di 10000 km estese da Nord a Sud dell’Atlantico.
La quantità di rifiuti rilevata è 10 volte maggiore di quanto era stato stimato prima della ricerca.
Isole di spazzatura
I rifiuti non sono solo un problema del fondale marino. Ci rendiamo conto di quanta plastica c’è in mare facendo una semplice nuotata. Non è raro trovarci circondati da involucri o tappi di bottiglie.
Molti di questi rifiuti rimangono sulla superficie dei nostri mari. Nei casi più gravi si formano delle grosse concentrazioni di immondizia che sembrano vere e proprie isole di plastica trascinate dalle correnti.
La più grande isola conosciuta è la Great Pacific Garbage Patch situata tra la California e l’Arcipelago delle Hawaii. È stata scoperta per puro caso durante una gara di vela alla fine degli anni ’90 ed è la più grande isola di plastica del mondo. Questa isola basterebbe a ricoprire gli Stati Uniti d’America e sfiorerebbe le 100 tonnellate.
Sfortunatamente nemmeno il Mediterraneo è esonerato da questa piaga. Tra l’Isola d’Elba e la Corsica è presente un’isola-spazzatura, che si distingue per la sua formazione periodica, ovvero in base alle correnti questa isola si ricrea solo in certe stagioni.
Fare la differenza
Prima di raggiungere un punto di non ritorno dobbiamo agire per tutelare l’ambiente e mettere fine al problema dell’inquinamento.
Si devono azionare tutti i governi per creare una normativa adeguata che regoli in primis la produzione di plastica monouso e lo smaltimento dei rifiuti.
In secondo luogo si deve creare maggiore consapevolezza a livello pubblico. Sensibilizzare ed educare la popolazione, far capire che la plastica non è l’unica scelta possibile.
Uno stile di vita più ecologico non è impossibile da mettere in pratica, soprattutto perché bastano delle piccole scelte più consapevoli e il mondo un giorno ci ringrazierà.