Una delle principali suddivisioni fra le specie di pesci (da non confondere con molluschi o crostacei) è, insieme alla forma del loro corpo (piatti o affusolati), quella fra pesci di mare e di acqua dolce.

Alcune specie di mare sono il branzino, il rombo, l’acciuga, il tonno, l’orata, la cernia e l’aringa; fra i pesci di acqua dolce ricordiamo invece il pesce gatto, la trota e la carpa. Altri pesci, invece, vivono in habitat dove è presente sia acqua dolce che salata (ad esempio alla foce dei fiumi): questi sono detti pesci di acque miste, per esempio il salmone e l’anguilla.

Considerando che tutti i pesci vivono e respirano in acqua, è naturale chiedersi: ad eccezione dei pesci di acque miste, perché un pesce di mare non vive in acqua dolce?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo per prima cosa avere chiaro il concetto di omeostasi e di osmosi. Una volta chiariti questi concetti saremo finalmente in grado di rispondere al perché un pesce di mare non vive in acqua dolce.

Omeostasi e osmosi

I concetti di omeostasi e di osmosi sono molto differenti fra loro, ma correlati quando si tratta di comprendere perché un pesce di mare non vive in acqua dolce.

  • L’omeostasi è, in biologia, la tendenza degli organismi viventi a raggiungere una stabilità chimico-fisica interna. In altre parole, è la tendenza a mantenere le proprie caratteristiche interne anche quando cambiano le condizioni dell’ambiente esterno.
  • L’osmosi è il fenomeno chimico per cui, in una situazione in cui due liquidi di diversa densità sono separati da una membrana semipermeabile (nel nostro caso la pelle dei pesci), il solvente (nel nostro caso l’acqua) si sposta spontaneamente dalla soluzione in cui il soluto (nel nostro caso il sale) è più diluito a quello in cui è più concentrato.

L’omeostasi influisce nel trasferimento di un pesce di acqua di mare in acqua dolce (o viceversa) in quanto il cambio di ambiente modificherebbe la sua stabilità fisico-chimica interna con conseguenze letali, in virtù delle diverse concentrazioni di ossigeno e sale. La maniera in cui questo avviene è spiegabile con il secondo concetto che abbiamo introdotto: l’osmosi.

Per via dell’osmosi, un pesce di mare è abituato ad ingerire costantemente l’acqua in cui è immerso, in quanto i liquidi contenuti nel suo corpo, meno ricchi di sale rispetto all’esterno, fuoriescono costantemente dal suo organismo (verso la soluzione in cui la concentrazione salina è maggiore – l’acqua di mare). Successivamente, tramite branchie ed urina, espellerà dal proprio corpo il sale in eccesso.

Al contrario, un pesce d’acqua dolce non ha bisogno di bere: poiché l’acqua in cui nuota ha una concentrazione salina minore rispetto a quella dei suoi liquidi interni, questa entra naturalmente dentro il suo organismo attraverso la “membrana semipermeabile” costituita dalla pelle (sempre per il fenomeno dell’osmosi). A differenza dei pesci marini, la loro urina non avrà più lo scopo di espellere il sale, bensì il liquido in eccesso: l’urina dei pesci di acqua dolce è per tanto a bassa salinità.

Cose succede se un pesce di mare finisce in acqua dolce

Nel momento in cui un pesce di mare dovesse trovarsi in acqua dolce, continuerebbe a bere come per sua abitudine (ricordiamo la tendenza di cui abbiamo parlato in riferimento all’omeostasi) nonostante l’acqua stia ora entrando naturalmente nel suo corpo attraverso la pelle (osmosi): questo porterebbe ad un cosiddetto “shock osmotico” di conseguenze letali.

Un pesce di acqua dolce immerso in acqua di mare, al contrario, porterebbe avanti il suo istinto di espellere i liquidi per via urinaria (omeostasi) nonostante questi non entrino più attraverso la sua pelle (poiché nella nuova situazione i liquidi esterni al pesce sono più ricchi di sale rispetto al suo organismo – osmosi). Anche qui il risultato sarebbe uno shock osmotico per via di mancanza di liquidi (acqua) all’interno del pesce e, di conseguenza, una concentrazione salina sproporzionata.

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